Il caso di disturbo dei vicini procurato mediante rumori, schiamazzi, strumenti sonori, versi di animali e altri strumenti di segnalazione acustica è contemplato all’interno dell’art. 659 del codice penale. Si tratta di un reato contravvenzionale di intralcio alle occupazioni o al riposo delle persone.
Chiunque provochi disturbo o impedisca le occupazioni, non solo degli abitanti degli appartamenti vicini, ma anche di parte considerevole degli inquilini dello stesso stabile, può essere punito con l’arresto fino a 3 mesi o al pagamento di un’ammenda fino a 309 euro.
Il tema del disturbo dei vicini è tornato alla ribalta in seguito alla sentenza n.53102 della Corte di Cassazione, pubblicata il 16 dicembre 2016.
In quell’occasione gli ermellini si sono pronunciati relativamente alla vicenda che aveva visto protagonista un minorenne. Colpevole di aver procurato disturbo attraverso la diffusione di musica ad alto volume proveniente dallo stereo della sua camera.
Per ritenere il reato sussistente, la Corte si è basata sulla testimonianza di due agenti della polizia municipale di Roma, che hanno riferito il fatto che la musica fosse percepibile addirittura a distanza di 80 metri dall’edificio.
Essendo l’autore del reato minorenne, in questo specifico caso, la colpa è ricaduta sui genitori. In particolare sul padre, proprietario dell’appartamento da cui proveniva la fonte di disturbo.
Per sostenere la responsabilità del genitore, gli ermellini hanno fatto riferimento agli obblighi che competono al proprietario ed abitante dell’immobile da cui si propagavano i rumori. In questo caso il padre del ragazzo. Pur non essendo una responsabilità diretta quella del genitore e proprietario dell’immobile, era di sua competenza l’esercizio della potestà genitoriale sul figlio minore.
Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a procurarlo. E tra tali obblighi rientra a pieno titolo anche la responsabilità genitoriale nei confronti dei figli minori. Ovvero l’obbligo di sorveglianza rispetto al comportamento di un figlio.
L’unico modo per sfuggire all’attribuzione della colpa consisterebbe nel dimostrare l’impossibilità di impedire il fatto. Un’eventualità difficile da provare.
All’interno della sentenza, la Suprema Corte ha anche ricordato i propri precedenti. E ha sottolineato che la responsabilità dei genitori per i fatti illeciti commessi dal minore, contemplata dall’art. 2048 del codice civile, è ribadita anche dai doveri inderogabili posti a loro carico all’art. 147 dello stesso codice.
In questo senso, gli ermellini si sono richiamati alla necessità di una costante opera educativa, per correggere eventuali comportamenti non corretti.
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24 Febbraio 2017