Sulla questione dei rumori in condominio si è interrogata di recente anche la Corte di Cassazione. Gli ermellini si sono chiesti se, in caso di richiesta di risarcimento da parte di un condomino, sia necessario per la vittima dimostrare l’esistenza di un danno.
La risposta della Suprema Corte è condensata nella sentenza n. 1363 del 2017. Il contenuto della pronunciazione riprende l’orientamento secondo cui è necessaria la prova concreta del danno subìto a causa dei rumori in condominio.
Insomma, il disagio provocato dai rumori fastidiosi dei vicini dev’essere provato. E ne dev’essere dimostrata anche l’entità. Non ci si può limitare a provare la presenza del disturbo. Ovvero, se, ad esempio, un condomino lamenta l’impossibilità di riposare durante la notte per il baccano altrui, deve dimostrare che tali difficoltà hanno minato le sue normali attività quotidiane o la sua salute.
L’orientamento della Cassazione in materia non è stato sempre lo stesso. In passato, infatti, gli ermellini avevano sostenuto che non fosse necessario provare l’entità del danno subìto. Questo perché si presumeva fosse implicito che questo tipo di molestie comportasse un danno. In base a tale orientamento, il risarcimento scattava in automatico. Senza bisogno di provare quanto i rumori avessero inciso sulla qualità della vita delle vittime.
Più di recente, invece, sembra essersi fatto largo l’orientamento più rigoroso. Ottenere un risarcimento per i rumori molesti condominio, dunque, non può essere subordinato solo alla dimostrazione della presenza di un rumore al di là della soglia di normale tollerabilità. Ma richiede anche una prova concreta del disagio patito. Una dimostrazione non facile da produrre e che richiede una documentazione specifica.
Anche la quantificazione del risarcimento dovuto non è così semplice. In questi casi, tuttavia, si può fare riferimento alla norma per cui il giudice può stabilire il risarcimento in base a quanto egli ritenga equo.
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28 Settembre 2017