Sulla questione si è pronunciata diverse volte la Corte di Cassazione, anche sulla base della recente riforma del condominio. Gli ermellini hanno stabilito che il condomino che desidera usufruire di un impianto di riscaldamento autonomo può distaccarsi anche senza il consenso dell’assemblea.
Con alcune eccezioni. Il distacco dal riscaldamento centralizzato, infatti, non può avvenire se l’operazione comporta dei problemi per l’impianto condominiale e per gli altri proprietari. Ovvero non deve influire sulla funzionalità e sui costi dell’impianto.
In ogni caso, il condomino che rinuncia al riscaldamento centralizzato è tenuto a versare la propria quota per le spese di gestione e per quelle ordinarie e straordinarie di manutenzione dell’impianto. E deve contribuire anche nel caso di intervento di sostituzione della caldaia. Questo perché, pur essendone distaccato, potrebbe comunque in futuro decidere di riallacciarsi all’impianto comune. Le sole spese a cui non deve più contribuire sono quelle di consumo.
Prima di procedere con il distaccamento riscaldamento centralizzato, il condomino deve fare eseguire una perizia termotecnica per valutare se sussistono le condizioni per il distacco. La valutazione deve dimostrare che l’intervento non apporterà danni all’impianto. E non causerà un aumento dei costi. Questa valutazione è fondamentale per poter procedere legittimamente con il distacco riscaldamento centralizzato. Senza che l’assemblea dei condomini possa opporsi.
Tale perizia dev’essere poi inviata all’amministratore, che a sua volta la sottopone all’assemblea per conoscenza. Quest’ultima, cioè, non ha la facoltà di approvarla o meno, può solo prenderne atto.
Se, invece, la perizia evidenzia l’eventualità di problemi per l’impianto generale e una probabile maggiorazione nei costi, il proprietario non può procedere con il distacco. E se decide di effettuarlo ugualmente, l’assemblea può opporsi e intentare una causa nei confronti del proprietario.
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5 Ottobre 2017